Soldati Italiani Prigionieri in URSS

Le vicende che interessarono l'8ª Armata italiana - meglio nota con l'acronimo di ARMIR (Armata italiana in Russia) - nel corso della guerra contro l'Unione Sovietica hanno rappresentato un caso unico nella storia militare del Paese, non tanto per la gravità del rovescio bellico, che pur consistente era comunque equiparabile alle sconfitte registrate, su quel fronte, dalle altre armate dell'Asse, quanto per il rilevante numero di militari italiani deceduti (successivamente alla resa) in costanza della custodia russa e per il lunghissimo silenzio con cui l'Unione Sovietica avvolse quelle morti, silenzio venuto meno solo con la sua scomparsa in quanto entità statale.
Questa tesi ha avuto lo scopo primario di aggiungere un ulteriore contributo alla comprensione della vicenda dei dispersi dell'ARMIR (e in parte anche quella dei funzionari della ex Repubblica Sociale Italiana catturati dalle truppe sovietiche al momento del crollo del fronte orientale e degli alto-atesini italiani arruolati nella Wehrmacht e nelle SS fatti prigionieri dall'Armata Rossa) attraverso l'apporto delle carte diplomatiche, per larga parte inedite, dell'Archivio storico-diplomatico italiano del ministero degli Esteri, dal marzo 1944 (ripresa rapporti diplomatici italo-sovietici) al febbraio 1954 (rimpatrio dall'URSS degli ultimi prigionieri dell'ARMIR) e attraverso il contributo storiografico e memorialistico sull'argomento. Il filo conduttore dell'intero lavoro ha riguardato il ruolo che nella vicenda hanno avuto a vari livelli di responsabilità l'URSS, il governo italiano, la rappresentanza diplomatica italiana a Mosca e, infine, il PCI.

Le comunità di italiani più rilevanti erano quelle di Kerc' e Mariupol, dove famiglie di origine italiana vivevano ormai da più di tre generazioni. Negli anni dal 1920 al 1930 molti italiani si trasferirono in Russia, per sfuggire al regime fascista e cercare una società più giusta. Questo gruppo viene definito come quello dei "politici".
Un altro gruppo era composto da chi aveva lasciato l'Italia in cerca di lavoro e benessere. Questo era il gruppo dei cosiddetti "sociali". Benché la realtà del GULag esistesse fin dal 1918, le repressioni nei confronti degli italiani (e degli altri stranieri) avvennero in special modo intorno agli anni '30, durante il Terrore staliniano.
Tra il '33 e il '38 molti "politici" e "sociali" vennero arrestati in quanto stranieri, sospettati di spionaggio e ritenuti pericolosi per il regime sovietico. I "politici" erano spesso accusati anche di allontanarsi dall'ideologia comunista, dall'ortodossia, rifacendosi a posizioni trotzkiste, o, nella versione italiana, bordighiste. Ma non solo gli italiani di recente immigrazione subirono la repressione del regime sovietico: durante gli anni della II Guerra Mondiale anche le famiglie delle comunità di Kerc' e Mariupol vennero deportate nei campi di lavoro, strette nella morsa del sospetto.
Dagli archivi ex-sovietici sono state accertate circa 1.000 vittime italiane del regime. Di queste circa 400/500 appartenevano alle comunità di Kerc' e Mariupol, circa 300 erano emigrati "politici" e altrettante appartenevano al gruppo dei "sociali".
I campi erano prevalentemente campi di lavoro forzato, dai quali il regime otteneva manodopera a costo zero.

Tratto da www.rivistamilitare.it e erewhon.ticonuno.it